“Rilettura” di un classico sempreverde. Il Piccolo Principe stupisce ogni volta

Le_Petit_Prince_(L'Escala)

Definito un long seller, Il Piccolo Principe rimane uno dei libri più venduti e tradotti al mondo, recentemente portato con successo sul grande schermo dal regista Mark Osborne, vincitore del Premio César 2016 come miglior film di animazione, già presentato al Festival di Cannes 2015 come film fuori concorso, a confermare l’elevato tasso di gradimento anche del pubblico moderno sebbene le varianti apportate sulla sceneggiatura da Irena Brignull. Arricchito dalle illustrazioni dell’autore, nasce come testo per bambini: intuisco sia più conveniente “catalogarlo” come enunciazione di messaggi di amore e tolleranza, di cui è testimone, attraverso il passaggio tramite l’ingenuità dell’infanzia per rivolgersi invece all’universo degli adulti. Scritto durante la Seconda guerra mondiale (datato 1943) dal nobile francese Antoine de Saint-Exupéry, appassionato di aviazione, narra la storia di un pilota di aerei che precipita nel Sahara e incontra il piccolo principe, un bellissimo bambino che, nell’assurdità della situazione, incomincia a raccontare la propria storia.

Il giovinetto, partito dall’asteriode B-612 vuole esplorare altri pianeti per porre rimedio alla delusione che lo rattrista dopo aver avuto un litigio con la rosa che con tanto amore ha coltivato a lungo sul pianeta. Il protagonista si imbatte in vari bizzarri personaggi fino poi a conoscere un geografo che gli consiglia di visitare la Terra. Caduto nel deserto africano il primo incontro è con un serpente, simbolo di morte ma in un certo senso anche di ritorno. Sarà proprio tramite il morso dell’animale che il principe, dopo un anno di permanenza qui potrà tornare a casa  desideroso di rivedere la rosa e arricchito di sentimenti positivi che ha raccolto durante il cammino terrestre ma ovviamente, dovrà tornare “spogliato” dalla pesantezza del corpo che lo sostiene.

Non è che un brevissimo tracciato della trama tenera di questa opera nella quale la volpe non è quella furba di Collodi; forse è furbescamente ingegnosa dato che ha deciso di desiderare un amico umano da aspettare, il quale, prima dovrà però addomesticarla. Per un breve periodo l’amico sarà il principe, ma lui, si sa, è destinato al rimpatrio; pure, i due riusciranno a diventare speciali l’uno per l’altra e proprio la volpe insegnerà al bambino che l’essenziale è invisibile agli occhi. Di chi? In un mondo di ciechi plebei, incapaci di scegliere una rosa per sé stessi in un intero roseto? Di ciechi impauriti dal possibile disordine di situazioni non convenzionali? Chiaramente l’esegesi si presenta come rivestita di una corteccia breve di ingenuità e fantasia le quali celano altresì verosimili insegnamenti .

Un re e un vanitoso; un ubriacone e un uomo di affari; un lampionaio e un geografo. Gli eccentrici personaggi che il bambino “trova” sui vari asteroidi sono teoricamente metafora di difetti (o pregi) riscontrabili negli essere umani, ma perché mai dovrebbe essere questa la sede opportuna per inventariare le mancanze della civiltà. Lo scopo è altro invece, ovvero procedere sulla cresta dell’onda benevola imbevuta mirabilmente di profusione di quella positività trasmessa nella frase che recita così: “non si vede bene che con il cuore”. “E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”, dice la volpe al principe; tempo che dunque non è perduto ma guadagnato creando quell’amicizia che per un attimo delude il bambino e che lo spinge alla scoperta di luoghi altri.

Certo, un bambino amico di una rosa, simbolo sì di bellezza e delicatezza.. ma gli spazi tra i quali si avvicendano le storie dell’opera sono isolati. Pure il viaggiatore non prova paura, sono come luoghi non-luogo e il tempo poi, sembra statico. Utile ricordare che evidentemente si rendeva profondamente necessario allontanarsi dalle vicende belliche che colpivano il periodo storico in cui nasceva il romanzo.  Fantascienza e fantasia si fondono amabilmente negli avvenimenti che si intrecciano collegando tra loro i personaggi della narrazione, tutti “amici” del ragazzo che rimane stupito dal  monarca assoluto che impartisce ordini a nessuno; dall’imprenditore che passa il tempo a inventariare i propri possedimenti, ovvero le stelle; dal lampionaio che con tanta dedizione svolge il suo compito ogni volta annullato dal velocissimo volteggiare del pianeta su cui risiede. E il geografo, con gli enormi libri sui quali riporta “le voci” degli esploratori. Il suo pianeta è imponente, ma egli non lo conosce poiché non è un pioniere e quindi non “va a fare il conto delle città, dei fiumi, delle montagne, dei mari… il geografo è troppo importante per andare in giro”, perciò deve fidarsi di quanto gli viene riportato tanto che soltanto dopo aver verificato l’attendibilità delle notizie che riceve, la penna potrà sostituire la matita nel registro dove si riportano le glosse. Egli dunque non può viaggiare, già, ma “le geografie sono i libri più preziosi fra tutti i libri. Non passano mai di moda. E’ molto raro che una montagna cambi di posto”; ecco la lezione sull’effimero e la delusione del principino che realizza come il suo fiore sia tanto indifeso, minacciato di scomparire in un tempo breve.

Quanto breve un tempo breve possa essere non è dato sapere: né al principe che arriva da un’asteroide, né a chiunque altro. Laddove il calcolo del tempo è suddiviso in ore e minuti e secondi, nella vita; o dove il tempo è un periodo di ritorno “medio T associato a X  che esprime il numero medio di osservazioni necessarie affinché un dato evento si verifichi nuovamente”. Poi c’è il tempo a teatro, e quello degli astrofisici; e quello delle stelle che vediamo ancora accese sebbene forse già spente.

“Mi domando”, disse, “se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua. Guarda il mio pianeta, è proprio sopra di noi…Ma come è lontano”. Il piccolo principe esterna queste considerazioni con il serpente, con la creatura che lo rispedirà al suo pianeta lasciando cadere in terra il tenero corpicino dopo un morso velenoso. Con questo passo dell’opera chiaramente l’autore riconduce i lettori alla ineluttabilità del ciclo vitale, simbolo in questo caso anche di quella maturità che appare necessario raggiungere nell’esistenza.   Questa opera si pone come metafora di lettura fanciullesca sul mondo adulto; sul punto di andarsene il piccolo non vuole che l’amico-pilota assista, anzi, cerca per lui parole di consolazione: “Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere!”, e ancora “Sembrerò morto e non sarà vero…”.

Ma sei anni dopo il pilota, cui era stato chiesto, tra l’altro,  di disegnare una pecora,  ancora si domanda se questa appunto avrà poi mangiato il fiore; se il bambino avrà ricordato ogni sera di proteggere la rosa preziosa con la campana di vetro. E certo, se la pecora avesse mangiato il fiore tutto potrebbe essere diverso “ma i grandi non capiranno mai che questo abbia tanta importanza”. Le chiavi di lettura cui riporta questa geniale narrazione sono molteplici e libere di essere interpretate o vissute da ogni singolo lettore che abbia voglia di  immergersi nella poesia commovente di questo autore francese che nel luglio del 1944 scomparve in volo presumibilmente abbattuto da un aereo dell’aviazione nazista.

“Da te, gli uomini”, disse il piccolo principe, “coltivano cinquemila rose nello stesso giardino… e non trovano quello che cercano…”;  o forse lo trovano ma poiché gli occhi sono ciechi non si vede e bisogna esplorare con il cuore; il Piccolo Principe non era solito rispondere alle domande ma arrossiva quindi qualcuno poteva intuire le sue repliche. Era pur vero che voleva tornare sul pianeta irreale come era vero che il serpente non avrebbe avuto veleno per un secondo morso. Nell’amarezza generata dalla scomparsa del bambino il romanzo si conclude con gli interrogativi che l’aviatore continua a porsi: ma come giudicare questa sua “debolezza” da essere umano. Del resto,   più le persone sanno di cielo e più se ne avverte la mancanza.

Barbara Bruni

 

In foto: Il Piccolo Principe (L’Escala)

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