Riflessioni sul Cinquecento inglese: un gruppo di studiosi riuniti

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La letteratura inglese dall’Umanesimo al Rinascimento, 1485-1625. A cura di Michele Stanco, Roma, Carocci Editore – Studi Superiori, 2016, 431 pp. [ISBN 978-88-430-8060-1]

 

“Non ti ho fatto del tutto né celeste, né terreno, né mortale, né immortale perché tu possa plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti sembrerà migliore. Potrai degenerare sino alle cose inferiori, i bruti, e potrai rigenerarti, se vuoi, sino alle creature superne, alle divine”.

E’ questa, sostanzialmente, l’idea del divenire dell’umanità che si profila con Giovanni Pico della Mirandola “allo scopo di dimostrare come l’eccellenza umana non derivi da alcun compito o ruolo stabilito, ma dalla mancanza stessa di ruoli, ovvero dall’assoluta libertà di autodeterminazione”. Siamo in epoca di Neoplatonismo rinascimentale, il risorgimento degli studia humanitatis che, diversamente da oggi, era di profondo e doloroso sperpero nei confronti della cultura umanistica, si ponevano al centro di quell’universo che voleva dare vita all’uomo “moderno”, sebbene non senza difficoltà e contraddizioni da affrontare. Con dignità…

Il volume a cura di Michele Stanco, professore di Letteratura inglese all’Università di Napoli Federico II, è un contributo sull’Umanesimo e sul Rinascimento dove si vuole prendere in esame l’aspetto storico, come letterario e anche filosofico del tempo. Ne fornisce nota nell’introduzione dove viene presentato il libro che nasce con lo scopo di “mostrare la complessità della temperie sia umanistica che rinascimentale”. Il risultato è un testo colto, una miscellanea con il contributo di studiosi da vari Atenei italiani: nulla è tralasciato; l’analisi è attenta sotto ogni punto di vista, mai uggiosa.

Da Enrico VII alla nascita della Chiesa d’Inghilterra; dalla diffusione dell’Umanesimo in Inghilterra a More e i suoi contemporanei; Chaucer, Sir Thomas Wyatt,  riflessione su poesia e prosa, il teatro e l’età elisabettiana. E ancora  Sir Bacon, Sidney e Spencer e Marlowe e Shakespeare con i Sonnets e un’ accurata analisi su “Shakespeare nostro contemporaneo”.

Segue a una ampia prospettiva storico-filosofica del tempo, il corpo centrale dove il curatore offre una interessante e completa prospettiva sull’operato di William Shakespeare. Ne studia la vita, la carriera teatrale e l’intera produzione artistica. Particolarmente  avvincente il paragrafo dal titolo Le tragedie: il dolore “(in)giustificato dove si esamina la “logica bifronte” che attraversa le tragedie del più amato drammaturgo di sempre.

Si legge:” la tragedia shakespeariana, dunque, sfugge a qualsiasi ottica retributiva […]: la morte finale dell’eroe non segue alcun criterio di giustizia, ma appare dettata dal caso o da una necessità difficile da comprendere”. Un esame attento e originale che prosegue,  “a tale proposito, c’è però un ulteriore elemento da considerare. Nel chiudere l’azione drammatica vera e propria, la morte dell’eroe nondimeno prelude a un successivo processo di ricomposizione dell’ordine”. Fino all’indagine sulle tragedie più mature dove il disegno espiatorio diviene struttura narrativa.

Prosegue Stefano Manferlotti, docente dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, con una valente disamina sulla poesia di William Shakespeare. I Sonnets, tutt’ora circondati dall’aura di mistero che li accompagna sin dalle origini, sono senza dubbio il momento più alto dell’espressione del poeta. Viene fornita una profonda analisi dei versi dedicati tanto al fair youth, quanto alla dark lady: “[…] il canzoniere coglie nell’impari lotta fra l’altezza dell’ideale e le bassure del reale, le miserie della vita vissuta, in cui a tenere campo sono più spesso l’egoismo, il compromesso sordido, la gratuita volontà di ferire […]”. Certamente “la storia che l’uomo del primo Rinascimento narrava a sé stesso – di stare al centro dell’universo, fiducioso in magnifiche sorti e progressive – si era già da tempo rivelata una favola”.

Vari e corposi gli interventi di Mario Domenichelli, celebre anglista: la poesia da Chaucer a Surrey; il romance, il pamphlet, il manuale di poetica, il trattato teologico-filosofico. Notevole la ricerca sulla nascita dell’industria della stampa dove si fornisce al lettore una apertura sulle “attività dell’antica consorteria dei librai, stampatori, editori, rilegatori” della metà del Cinquecento inglese. Si affronta successivamente il problema delle traduzioni: “A Londra si traduceva di tutto. In primo luogo si traduceva la Bibbia.”; e poi la fuga dei traduttori eretici sotto il regno della cattolica Mary Tudor; e successivamente l’importanza “dell’egemonia culturale italiana in Inghilterra […]”.

Operano sul volume edito da Carocci anche molti altri studiosi fornendo un apporto minore, tra i quali si evidenzia per finezza di pensiero, il capitolo di Valerio Viviani, professore di Letteratura inglese all’Università degli Studi della Tuscia, nonché esperto di Storia del teatro e di Cinquecento inglese.  L’originalità è in risalto sin dalle prime battute:” From Tuscany came my lady’s worthy race; / Fair Florence was sometime her ancient seat”, tratte dal testo di Henry Howard, Description and Praise of His Love Geraldine,  che in tal modo intendeva nobilitare la figura dell’amata Geraldine sottolineando, evidentemente,  come dalla Toscana non giungesse soltanto la prediletta, ma anche l’ispirazione poetica dell’autore, “sotto il diretto influsso di Petrarca”.

L’autore di questa sezione affronta il tema della Diffusione dell’Umanesimo in Inghilterra concentrando concetti di ragguardevole rilievo in un ristretto numero di pagine. Con dono di chiarezza e sintesi, si traccia un percorso atto a evidenziare come la cultura italiana, eccellente fonte di ispirazione, che era giunta nella penisola inglese grazie a studenti e colleghi che importarono le nuove correnti filosofiche insieme al più recente curriculum degli studia humanitatis, divenne successivamente una prospettiva da evitare.

Lo stesso Roger Ascham, precettore della futura regina Elisabetta, istruita secondo princìpi umanistici, “sconsiglierà caldamente il viaggio in Italia” ormai “patria dell’eresia, della lussuria, della vanità”; ammonimento che suona piuttosto attuale.

Il volume è un dotto e denso ritratto di una stagione italiana, inglese, europea, che, sebbene attraversata da controversie, lotte e questioni religiose, invase lo spirito umano con la luminosa energia della modernità. Rinascita e rinnovamento dovuti dopo il periodo cosiddetto buio. In tal caso, se è ancor adesso  in mano “ai posteri l’ardua sentenza”,  il trattato è salvo, ma chissà se il conte di Surrey, potendo vivere oggi e domani, “avrebbe (ancora) tanto insistito sulla provenienza degli avi dell’amata, virtuosa Geraldine” …

Barbara Bruni

 

In foto: gli attori Gwyneth Paltrow e Joseph Fiennes nel film Shakespeare in Love 

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