William Shakespeare tornerebbe alle scuole elementari? Se sapesse che…, forse sì

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In occasione dei 400 anni dalla scomparsa di uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, William Shakespeare, per la quale sono previste celebrazioni e iniziative in tutto il pianeta, il noto attore, regista e operatore teatrale viterbese, Paolo Manganiello, è stato invitato da una associazione cittadina a relazionare sul rapporto tra spettacolo “dal vivo” e pubblico.

L’esperto è intervenuto apportando la propria competenza in materia con un argomento provocatorio, ovvero: inquadrare il teatro nelle scuole primarie facendo riferimento a come “si fa vedere” uno spettacolo ai più piccoli e a come i giovanissimi studenti vengono, o dovrebbero essere “preparati” ad affrontare simile apprendimento. Sono i bambini coloro che fruiranno in futuro del teatro come spettatori! In molte città italiane disponiamo di teatri che al momento risultano inservibili in quanto “fatiscenti”, allora è il caso di dire che qualcuno stia ponendo attenzione su “come togliere al cittadino l’esigenza di andare a teatro”? Non mancano gli edifici, ma non si provvede a renderli agibili, o meglio, si rimanda tale possibilità.

Al di là di questa problematica che certamente non può riguardare i bambini, le giovani generazioni vengono comunque considerate inidonee alla comprensione dei testi di alcuni autori  data la giovane età. Più che mai convinta di questo è una certa intelligentia la quale rimane ferma sull’idea che proprio i testi shakespeariani non possano essere capiti dai bambini. Già alla fine del XVIII secolo questo discorso fu motivo di riflessione per i fratelli Charles e Mary Lamb; oggi Paolo afferma che “non credo affatto in tutto questo. So bene che la mia idea appare come una provocazione, ma non è forse vero che i lavori di Shakespeare e le fonti da cui egli attinge sono popolati di miti, favole, storia? Dunque, perché mai credere impossibile che la mente di un bambino possa non comprendere cotanta bellezza? Tutto in realtà appartiene a loro, prima che agli adulti; è doveroso istruirli sulla comprensione di certi contenuti e soprattutto far cogliere loro l’aspetto alchemico che consiste nel passaggio dalle parole alla realizzazione scenica”. Allora i bimbi saranno pronti.

Per dare vita a questo innovativo e raffinato concetto “serve gente che innanzitutto conosca Shakespeare ma ovviamente anche le coraggiose dinamiche psicologiche utili a trasmettere il messaggio ai bambini”, “popolazione” estremamente “difficile” da trattare data la meravigliosa curiosità e la sincerità spiazzante, qualità dalle quali i piccoli sono circondati. Stupisce ogni volta la serietà di Paolo quando affronta certi argomenti perché di questi argomenti ne ha fatto non soltanto una professione ma anche una vera ragione di vita e di meditazione. Continua: “per seguire un simile percorso e portarlo a buon fine occorre istituire un Laboratorio Teatrale finalizzato a una performance conclusiva. È necessaria la collaborazione degli insegnanti scolastici e degli operatori teatrali (degni di questo attributo – sottolinea giustamente!), e qui sorgono le prime difficoltà. La maestra non può assumere il ruolo di regista o di istruttore teatrale così come l’esperto in recitazione o sceneggiatura non deve sostituirsi al docente. Dirlo in parole, ti assicuro, è molto più semplice che metterlo in pratica”.

Non è la recita scolastica di fine anno ciò di cui Paolo progetta, ma una scelta ben più complessa che necessita di un protocollo definito e da rispettare: “abbiamo un gruppo di bambini; abbiamo una storia da esemplificare  e rendere nelle sue linee essenziali; abbiamo un gruppo di insegnanti (scolastici e maestri di teatro, in questo caso). Sono questi gli elementi giusti per creare una cornice narrativa dove collocare la tale storia e dare l’opportunità ai piccoli di recitare rimanendo bambini. Non sto parlando di travestimenti, non si tratta di ricoprire un giovane attore  con petali gialli di pannolence, ma di trasportare lo spettatore all’interno di una rappresentazione attraverso il punto di vista dei  ragazzini”. Il collante è il teatro stesso.

L’idea di Paolo nasce dalla lunghissima esperienza nel campo teatrale che spesso lo ha visto protagonista come maestro di “accompagnamento alla visione e alla partecipazione agli spettacoli”. Circa dieci anni fa fu selezionato come operatore IRIDE, ovvero, colui che insegna come vedere una esibizione. Da qui la voglia di introdurre e formare a questa arte anche les enfants seguendo un percorso creativo sul testo prescelto insegnando che il linguaggio da interpretare non è più quello dei brani in parole, ma vira dall’ambito letterario a quello rappresentativo. “Ti porto un esempio, se per attuare ciò di cui stiamo parlando scegliessi Romeo and Juliet, svolgerei un lavoro sulla storia del dramma, sulla fonte soprattutto, metterei forse anche in scena la parte dei due innamorati che si parlano dal famoso balcone, ma soprattutto lavorerei rapportando questo alla società moderna, ai contenziosi che nascono dalle differenti ideologie religiose o classi sociali. Chiederei ai bambini di creare un indefinito numero di personaggi, collocandoli nella giusta location, ai quali io stesso dovrei poi attribuire i veri nomi dei protagonisti dell’opera”.

Pensiamo un momento a come ci veniva presentata l’opportunità di andare a teatro quando eravamo a scuola: pochi accenni alla commedia o al dramma che si andava a vedere; brevissime nozioni, forse, sulla vita dell’autore, ma principalmente si sapeva che con la scuola, in un dato giorno, si sarebbe andati tutti a teatro. Il teatro come luogo dove non si dovevano danneggiare le poltrone di velluto più che come luogo dove immergersi in una trama dopo averla precedentemente assimilata.

Certo, sebbene su uno sfondo “logico”, senza avere le giuste conoscenze sembrerebbe, ad esempio, particolare assistere a una rappresentazione del regista teatrale lituano Eimuntas Nekrošius che ha messo in scena una trilogia shakespeariana, ovvero Othello, Macbeth e Hamlet. In questa rappresentazione le scelte registiche sono piuttosto diverse, me ne descrive il mio amico stimatissimo che  conosce bene la materia e la definisce esperienza. È questo il suggerimento per sottolineare che quanto concepito da Paolo ha efficacia soltanto se dietro la volontà di educare al teatro esistono idee valide, coerenza e un saldo progetto artistico…; i teatranti, invece, non sono mai abbastanza purtroppo.

Il progetto del maestro Manganiello è stato portato in varie scuole negli ultimi anni riscuotendo ottimo interesse, e avendo riscontrato gli stessi insegnanti scolastici, l’importanza di sensibilizzare bambini e giovani alla conoscenza del teatro e al linguaggio artistico che lo riguarda. Quanto descritto “è comunque parte del teatro sociale, nel quale sai che sono impegnato ormai da circa venti anni, sempre nell’auspicio di poter regalare una possibilità di crescita e sviluppo attraverso tutto questo”. Un attimo di amarezza quando mi fa presente quali e quante difficoltà si incontrino nell’attuazione di pur nobili idee.  “Ci si scontra con le istituzioni e il “problema denaro”; con la confusione dei ruoli, come ti dicevo, ma soprattutto con l’episodicità. In questo modo il percorso è sempre in salita, anche se lo hai già sperimentato e fatto conoscere. Eppure ogni volta si deve ricominciare da capo; ma se qualcosa riscuote consensi, perchè allora non si lascia che viva?”. Ogni volta è un lungo viaggio.

Attualmente Paolo sta realizzando questo suo cammino di arte e di vita con un gruppo di ragazzi colpiti da Sindrome di Asperger. Colto, semplicemente bravo, impegnato, affetto da cuore grande, una voce che rassicura e forse, come accade a tutti gli intelligenti, con qualche disinganno in tasca..è in ottima compagnia il prof! È tutto normale, ma voi ci credete ai fantasmi? In certi ambienti se ne incontrano ogni giorno però purtroppo non sono quelli di Shakespeare.

 

Barbara Bruni

 

 

 

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